La città rinascimentale
Il Rinascimento fu uno dei periodo storici più importanti della storia italiana: fu il periodo durante in quale nacquero moltissime personalità che cambiarono la visione della scienza, dell'arte, dell'architettura e del mondo in generale. Molte furono le città dove il Rinascimento si sviluppò maggiormente, dalle quali si formarono grandi personaggi storici, molti altri se ne ispirarono in periodi più recenti: in particolare verranno trattate Mantova e Firenze.
Mantova
Il Rinascimento a Mantova decollò dalla metà del XV secolo, dipendendo in toto dalla dinastia dei Gonzaga, che fecero della città, nonostante l'esiguità del territorio e la sua relativa importanza nello scacchiere europeo, una delle corti signorili più splendide d'Europa. Fu il periodo più importante di Mantova durante il quale divenne uno dei massimi centri d’arte in Europa. Leon Battista Alberti, Andrea Mantegna, Giulio Romano e Luca Fancelli lasciarono un’impronta indelebile nell’architettura della città.
La storia e le cronache del tempo ci tramandano l'antico amore di Gabriele D'Annunzio con la città di Mantova e il Palazzo Ducale, arricchito da aneddoti originali come originale è stata la sua vita avventurosa spesso oltre le righe ma che fa di lui, oltre che un illustre scrittore, un personaggio inimitabile.
D'Annunzio a Mantova
D'Annunzio visitò almeno quattro volte la città rimanendo sempre incantato, ma il suo grande amore fu il Palazzo Ducale fin dalla prima volta che giunse a Mantova nel maggio 1907, ed è proprio nel palazzo gonzaghesco che rimase colpito dal soffitto ligneo della camera del Labirinto con la scritta "Forse che s, forse che no", il motto del titolo del suo libro pubblicato poi dai fratelli Treves di Milano nel 1910.
Forse che sì, forse che no
Una delle opere più significative del periodo mantovano di D'Annunzio è sicuramente "Forse che sì, forse che no".
L'opera segna allora il ritorno nel 1909 alla prosa narrativa, con una vicenda che si riallaccia da un lato ai temi dominanti (l’estetismo, il decadentismo, la suggestione superomistica) delle opere precedenti (come ne Le vergini delle rocce o ne Il fuoco), ma dall’altro sviluppa i nuovi interessi dannunziani, sempre con lo scrupolo di tener d’occhio le mode e le tendenze più attuali.
La trama, non a caso, è ambientata nel mondo della nascente aviazione. Romanzo ambientato nel mondo dell'aviazione che muoveva, al tempo, i primi passi; il romanzo descrive lo sviluppo di passioni che legano e dividono cinque personaggi borghesi e che sono fatalmente destinate a lasciare una "scia" di dolore e morte. La vicenda verte sulla nascita di una violenta passione amorosa tra Paolo Tarsis e Isabella Inghirami. Nel retroscena si intrecciano le vicende di Vanina e Lunella, sorelle di Isabella, e di Aldo, fratello delle tre.
La dolorosa scoperta della storia d'amore tra Paolo e Isabella da parte di Aldo e Vanina causa una precipitosa caduta verso tendenze suicide: Aldo e Vanina tentano insieme il suicidio sporgendosi da una muraglia diroccata. Vanina è infatti innamorata di Paolo, ma Isabella, pur consapevole di questo amore, continua la sua storia con Paolo. In un primo momento non si colgono le motivazioni di Aldo, emerge poi verso la fine del romanzo che egli intrattiene relazioni sessuali con la sorella Isabella.
Vanina si reca da Paolo per svelare la relazione sussistente tra il fratello e la sorella maggiore. Paolo, furente, aspetta l'arrivo di Isabella sulla quale sfoga la sua ira, percuotendola e insultandola mentre la sorella Vanina rientra in casa e si suicida.
Inizia da questo momento la progressiva crisi di Isabella, personaggio finora molto sicuro e determinato, che sfocia in una follia inarrestabile, al punto che il padre e la matrigna di Isabella sono costretti a ricoverarla in un istituto senza che Paolo riesca a trovare una soluzione alternativa.
Le vicende amorose si intrecciano con due gare aeree, nella prima delle quali Giulio, amico di Paolo, perde la vita mentre il protagonista esce vittorioso. Il romanzo si chiude con l'atterraggio di Paolo in Sardegna.
D’Annunzio e l’impresa fiumana
Estate 1919. L’Italia del primo dopoguerra è scossa da un’ondata di scioperi ed agitazioni operaie; in particolare, a fare molto rumore, sono le rivendicazioni territoriali sulle regioni al confine orientale promesse all’Italia dalle forze dell’Intesa con il Patto di Londra 1915 (accordo segreto, firmato il 26 aprile, che impegnava l’esercito italianoascendere in guerra contro gli Imperi Centrali, durante la prima guerra mondiale, in cambio in caso di vittoria di cospicui compensiterritoriali fra cui le province di Trentoe Trieste, i territori circostanti
quest’ultima e la Dalmazia).
Con la fine della guerra, lo scenario internazionale era mutato profondamente. L’Impero austro-ungarico dopo la firma dell’armistizio (3 novembre 1918), si era sgretolato, dando vita a nuove entità statuali come: il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni costituito dall’Unione della Serbia con il Montenegro e con i territori slavi del Sud dell’ex monarchia asburgica: la Carniola, la Croazia, la Dalmazia, la Slavonia (attuale regione della Croazia) e la Bosnia. Alle trattative di pace di Versailles i rappresentanti italiani avevano dunque faticato a far valere le proprie pretese territoriali, dal momento che le regioni promesse non appartenevano più a un nemico sconfitto, ma a uno degli stati vincitori che si avviava a completare il proprio processo di unificazione nazionale. Incerto, inoltre, è il destino della città di Fiume che a maggioranza di popolazione italiana e dichiarata la volontà di unirsi al Regno d’Italia, era stata posta sotto l’occupazione in una forza militare interalleata in attesa di una destinazione definitiva.
Fra le voci nazionaliste che agitavano le folle italiane sull’argomento, indiscusso protagonista fu Gabriele D’Annunzio (personalità che già prima dell’ingresso dell’Italia in guerra, si era schierato dalla parte degli interventisti, appoggiando pienamente gli ideali di Mussolini e spiegando le ragioni per cui, secondo lui, sarebbe stato un grande errore non entrare in guerra) che descrive la sfavorita situazione italiana nella Preghiera di Sernaglia, pubblicata sul «Corriere dellaSera», con la famosa metafora di «vittoria mutilata».
Una dura espressione per evidenziare come il governo italiano non fosse fino ad allora riuscito a far valere durante le trattative di pace gli interessi italiani e a far rispettare il Patto di Londra. Spinto dalla volontà di voler incarnare la figura del superuomo dei suoi discorsi, passa dalla teoria all’azione. D’Annunzio si reca così nel settembre 1919 a Ronchi, una cittadina nei pressi di Trieste, e si mette a capo di un movimento di ufficiali e truppe sediziosi con la quale marcia verso Fiume. Il 12 settembre 1919 entra nella città e fa allontanare il contingente interalleato. Il poeta costituisce così una «Reggenza» della città e del territorio circostante, di cui si pone a capo sotto il nome di «Comandante» e, investito di questo titolo, proclama l’annessione della città all’Italia.
Inizia così l’avventura fiumana, che durerà poco più di un anno. Fiume diventa una sorta di «laboratorio» per la nuova politica della mobilitazione della massa, che era molto più favorevoli al dominio italiano sulla città rispetto a quello croato, basandosi sul mito e la liturgia della nazione.
Nei mesi successivi, i governi liberali di Nitti e Giolitti, tentarono di porre fine all’esperimento d’annunziano che rischiava di provocare gravi disagi al governo italiano a livello internazionale. Nel frattempo, la «Reggenza» si dotava di una propria Costituzione, la Carta del Carnaro, il cui maggiore artefice è Alceste De Ambris. La Carta era un documento molto innovativo rispetto ai tempi poiché oltre a porre la propria l’attenzione sul principio dell’autogestione e della valorizzazione del lavoro produttivo, proclamava la sovranità del popolo indipendentemente da sesso, razza, lingua classe o religione e esprimeva il diritto per tutti all’istruzione, all’educazione fisica, all’assicurazione sulla vecchiaia, le malattie e la disoccupazione.
L’esperimento dannunziano entrava ormai nell’inverno 1920 nella sua fase finale. Il 12 novembre 1920, Giovanni Giolitti firmò con la Jugoslavia il trattato di Rapallo che attribuiva la Dalmazia alla Jugoslavia con l’eccezione della città di Zara, assegnata all’Italia, e faceva di Fiume una città libera. Dopo un simile accordo il governo dannunziano diveniva un grave incomodo per il governo italiano e il suo presidente. Per questo motivo Giolitti, durante il Natale del 1920, diede l’ordine all’esercito regolare italiano di attaccare le forze della «Reggenza», per sgomberare Fiume e rispettare le norme del trattato. Per cinque giorni la città fu posta sotto assedio e sotto gli attacchi delle truppe regolari italiane. Il 28 dicembre D’Annunzio decise così di sciogliere la Reggenza e uscì indenne dalla città assieme alla maggior parte dei suoi compagni.
L’episodio che chiude la breve parentesi di governo dannunziano, verrà definito dallo stesso poeta come il «Natale di Sangue», durante il quale persero la vita ventidue legionari, diciassette soldati italiani e cinque civili.
L’operazione, tuttavia, non pone fine alle polemiche e l’opinione di sentimenti nazionali patriottici si convince anche di più del fondamento dello slogan della Vittoria mutilata e ritiene che il governo Giolitti e, in genere, i liberali non abbiano saputo difendere a dovere gli interessi nazionali.
Dopo questo episodio, la sorte della città di Fiume sarà segnata soltanto il 27 gennaio del 1924 con l’accordo bilaterale italo-jugoslavo definitivo, in cui Fiume venne assegnata all’Italia eccettuato l’entroterra, e infine con i Patti di Roma del 1927, siglati da Benito Mussolini e dal suo omologo jugoslavo Nikola Pašić. Secondo gli accordi il Trattato veniva ratificato e il problema fiumano veniva risolto con l’assegnazione all’Italia della città di Fiume e alla Jugoslavia di Porto Barros.
D'Annunzio (al centro con il bastone) con alcuni legionari a Fiume nel 1919
Proclamazione della Reggenza italiana del Carnaro
Giovanni Giolitti (seduto) firma il trattato di Rapallo. Al centro in primo piano il ministro degli esteri del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni Ante Trumbić.
Il distretto di Fiume e, in giallo, la ulteriore striscia di territorio inserita nello Stato Libero con il Trattato di Rapallo.
Firenze
Lo stile del Rinascimento fiorentino, dopo il primo ventennio del Quattrocento, si diffuse con forza fino alla metà del secolo tramite esperimenti basati essenzialmente su un approccio tecnico-pratico.
In questo periodo si mutò quindi la percezione dell’uomo e del mondo in cui adesso il singolo individuo diventava in grado di autodeterminarsi e di coltivare le proprie doti attraverso le quali vincere la Fortuna e dominare la natura modificandola. Cambiò di conseguenza anche la vita associata che acquisì un valore particolarmente positivo legato al confronto, alla dialettica, allo scambio di informazionie opinioni.
Galilei e il metodo scientifico
Introduzione Galilei
Galileo Galilei è stato un matematico, astronomo e fisico italiano che partecipó allo sviluppo della scienza, nonostante gli attacchi della chiesa. Le sue scoperte scientifiche-astronomiche sono molto importanti ed hanno contribuito alla nascita della fisica moderna, portando al superamento della fisica aristotelica. Considerato il padre della scienza moderna perché creò il metodo scientifico, basato sull'osservazione oggettiva della realtà. Galileo ha inoltre realizzato nuovi strumenti scientifici, tra i quali il telescopio.
Galileo Galilei è nato il 15 febbraio 1564 a Pisa, dove ha studiato matematica. Nel 1589 è stato nominato matematico presso lo Studio di Pisa. Dal 1592 al 1610 ha vissuto a Padova, dove ha insegnato matematica e ha scritto alcune opere di Architettura Militare e di Fisica, tra cui il trattato “Le meccaniche”. Sempre a Padova, Galileo è entrato in contatto con l’ambiente di Aristotele secondo il quale c'era un unico centro del moto (la Terra), attorno al quale ruotavano tutti i corpi celesti. Difensore delle dottrine copernicane, che alla fine del 1612 erano state dichiarate eretiche, Galileo è stato denunciato dalla chiesa e per difendersi ha spiegato che la Bibbia si occupa non di problemi scientifici, ma di questioni morali e religiose, ma nel 1616 la chiesa condannó la teoria copernicana e Galileo fu "invitato" a non difenderla con i suoi scritti. Galileo aveva parlato della dottrina copernicana come di una semplice ipotesi matematica. Ma era a favore della teoria copernicana e per questo la chiesa lo denunciò. Galileo, grazie all'apporto del telescopio, ha dimostrato che la teoria copernicana non era un'ipotesi geometrica, ma una realtà fisica: non era il Sole a girare intorno alla Terra, ma la Terra a girare intorno al Sole. Alla fine del processo nei suoi confronti, Galileo ha dovuto riconoscere la propria colpevolezza per salvarsi la vita ed è stato condannato all'abiura, cioè ritrattare in ciò a cui credeva.. Dopo l'abiura, Galileo ha trascorso il resto della sua vita ad Arcetri, vicino Firenze, insieme alla figlia ed è morto nel 1642.
Il Metodo Scientifico
Si assiste con Galileo ad una più matura rappresentazione dell'indagine sperimentale, basata sulla descrizione quantitativa dei fenomeni esaminati e su procedure di conferma di ipotesi formulate matematicamente. Si tratta di un metodo scientifico nuovo, sottratto a ogni condizionamento metafisico e a ogni principio dogmatico, che abbandona i vecchi assiomi che per secoli erano stati considerati dagli studiosi come "verità assolute".
La scienza, quindi, per Galileo deve essere indipendente dall'autorità della Bibbia, che non si può considerare un libro scientifico, ma un libro che serve a guidare gli uomini alla salvezza - mentre la Controriforma pretendeva un sapere sottomesso ad essa -, ma anche deve allontanarsi dalla cultura aristotelica. Ricordiamo che Aristotele ha introdotto il metodo deduttivo, processo che va dall'universale al particolare, che utilizza il sillogismo, cioè un concatenamento di ragionamenti logici i quali, partendo da due premesse costituite da principi primi e postulati (vere e necessarie) trae una conclusione coerente con le premesse, anch'essa vera e necessaria. Tali conclusioni sono dunque solo il frutto di un lavoro mentale e non sono verificate sperimentalmente: se le premesse sono vere, necessariamente anche la conclusione è vera e se sono false, falsa è pure la conclusione, anche se dedotta con rigore logico.
Per Galileo, per osservare e conoscere un dato fenomeno, l'esperienza assume il moderno significato di esperimento. I due termini coincidono solo in parte: l'esperienza può essere solo una semplice constatazione dei fatti e un loro accumulo più o meno ordinato, mentre l'esperimento implica l'intervento attivo del ricercatore, che riproduce il fenomeno naturale esaminato in condizioni semplificate e misurabili. Infatti, la nostra esperienza quotidiana può ingannare i sensi, mentre l'esperienza scientifica deve essere il frutto di un'elaborazione teorico-matematica dei dati che nasce da una deduzione intuitiva dell'intelletto che è poi l'esperimento.
Oltre che all'esperienza, Galileo attribuisce la massima importanza alla matematica, sia come linguaggio di per sé rigoroso e univoco, sia soprattutto come strumento atto a garantire la correttezza logica e, quindi, l'indiscutibilità, di qualunque conclusione.
Esaminiamo ora le fasi del metodo scientifico di Galileo.
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Il punto di partenza è l'osservazione del fenomeno, sottoposto successivamente a delle misurazioni, poiché solo la misura è in grado di creare la compenetrazione tra esperienza e matematica.
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Il secondo momento dell'indagine è la formulazione di una ipotesi, la quale dovrà avere carattere matematico ed essere più semplice possibile.
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Il terzo momento consiste nella verifica dell'ipotesi, attraverso gli esperimenti: nel caso in cui la verifica sia positiva, l'ipotesi è vera e a questo punto si può formulare una legge; nel caso opposto invecee occorre tentarne un'altra.
Utilizzando un'altra terminologia, possiamo distinguere:
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Un momento osservativo-induttivo delle "sensate esperienze" basato sull'osservazione della natura e sull'analisi dei dati, dopo aver ridotto un problema complesso in elementi semplici e misurabili, per formulare un'ipotesi in grado di spiegarlo.
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Un momento ipotetico-deduttivo, delle "necessarie dimostrazioni", dove si verifica l'ipotesi attraverso l'esperimento e con ragionamenti logici condotti su base matematica, mediante i quali sono rielaborati i dati, per poi formulare delle leggi. La conoscenza scientifica può quindi partire direttamente dalla mente, ma deve sempre essere verificata dall'esperimento.
In Galileo sono dunque presenti sia il metodo induttivo che quello deduttivo, in due momenti che si implicano a vicenda, andando a costituire l'insieme dell'esperienza scientifica.
Accenno al Metodo Scientifico Moderno
Il metodo seguito dalla scienza moderna è principalmente quello induttivo-sperimentale. Induttivo, perché risale dal particolare al generale, dal fenomeno e dall'esperienza particolare alla formulazione di una legge più o meno generale; sperimentale, perché si giunge all'enunciazione di leggi scientifiche mediante conferma, ovvero falsificazione sperimentale (ritorneremo su questo concetto nel prossimo paragrafo), di ipotesi basate sulle osservazioni ripetute di determinati fenomeni.
Il procedimento usato nell'indagine scientifica per studiare i fenomeni sperimentalmente in laboratorio e giungere all'enunciazione di leggi comprende varie fasi:
Osservazione
Il metodo scientifico induttivo parte dall'osservazione di un oggetto, di un fenomeno naturale, di una relazione tra organismi, ecc. e su questo si cercano di individuare le caratteristiche e di eseguire eventuali misurazioni.
Individuazione del problema
L'osservazione può suscitare nello scienziato una domanda. Le domande devono essere specifiche e limitate, non generali, nelle quali sia possibile identificare dei fattori che saranno oggetto della successiva verifica sperimentale.
Documentazione
Posta la "giusta" domanda, lo scienziato raccoglie i dati e si documenta, cioè ricerca quanto è già stato scritto da altri ricercatori su questo problema, ne elaborerà i dati e su questi deciderà su quali aspetti sia necessario porre nuove osservazioni e misure.
Formulazione dell'ipotesi
Lo scienziato, in base alle osservazioni e ai dati a disposizione, può ora fare un primo tentativo di spiegare i fatti, cioè formula un'ipotesi provvisoria che spieghi le regolarità osservate, che individui relazioni tra eventi o oggetti, che risponda quindi alla domanda.
Qui entra in gioco l'abilità, l'esperienza, la creatività e l'intuito del ricercatore - che non è un semplice esecutore di passaggi automatici - nel formulare un'ipotesi che soddisfi questi criteri:
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deve essere quanto più possibile semplice;
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deve saper fornire un'interpretazione a tutte le osservazioni che sono state compiute fino a quel momento;
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deve essere tale che si possano eseguire esperimenti che possano confermarla o smentirla, deve essere cioè "falsificabile".
La Relatività di Galilei ed Einstein
Galileo Galilei fu il primo a comprendere ed esprimere un principio della relatività:
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Le leggi della fisica sono le stesse per ogni riferimento inerziale
È a lui, il padre dell’osservazione astronomica e del processo induttivo, che dobbiamo le prime ipotesi sulla relatività e l’inizio di queste scoperte.
Apre questo argomento nel suo trattato “dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” scritto nel 1632. In questo trattato Galileo da formule matematiche che avevano la funzione di far sì che ci si potesse spostare da un sistema di coordinate all’altro purchè sia inerziale.
Per confermare questa teoria fece due esperimenti: il moto dei proiettili e la caduta dei gravi. Da questi due arrivò a comprendere che nessun esperimento di meccanica condotto nel medesimo sistema di riferimento potesse stabilire se il corpo sia in quiete o in moto uniforme e scrisse una celebre frase che fa comprendere in pieno tutto questo:
«Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti: siavi anco un gran vaso d'acqua, e dentrovi de' pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vada versando dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca che sia posto a basso; e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza. [..] Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia mentre il vascello sta fermo non debbano succedere così: fate muovere la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur di moto uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti; né da alcuno di quelli potrete comprendere se la nave cammina, o pure sta ferma.»
Queste sue geniali intuizioni lo portarono a stabilire varie regole chiamate Le trasformazioni Galileiane con cui si poteva passare da un sistema di riferimento all’altro e calcolare la composizione della velocità ( V’= U+V).
Tuttavia nonostante le geniali intuizioni e le grandi scoperte fatte questa relatività ha molti limiti. Galileo stesso aveva intuito che queste formule non andavano bene per le onde luminose ma non aveva strumenti e non c’erano studi che potessero aiutare a risolvere questo problema. Il secondo grande limite fu sul tempo, lui riteneva che il tempo fosse invariante (lo stesso per qualsiasi sistema) cosa che poi vedremo sarà del tutto smentita da Einstein.
Einstein conosciuto da tutti per la sua formula E=mc^2 e per le sue numeroso intuizioni e scoperte. Fu proprio lui a riprendere il principio della relatività e a completarlo in tutti i suoi aspetti. Compose infatti i due postulati della relatività ristretta:
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Le leggi della fisica sono invarianti per tutti i sistemi di riferimento inerziali (relatività galileiana);
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La velocità della luce è costante nel vuoto, derivante dalla fisica dell’elettromagnetismo con i modelli matematici di Lorentz
Da questo potrebbe sembrare che ha solo rielencato due postulati fatti già in precedenza ma l’intuizione geniale sta proprio nel fatto di averli combinati insieme.
Aveva infatti ripreso il principio di Galileo e lo aveva unito con le trasformazioni di Lorentz, il quale aveva rivoluzionato le trasformazioni di Galileo rendendole corrette anche quando si parlasse di velocità prossime a quella della luce.
Possiamo infatti notare che le trasformazioni di Lorentz quando si parla di velocità notevolmente inferiori a quelle della luce tornano a quelle di Galileo.
Tutto questo porta a capire molto intuitivamente che anche il tempo è relativo quando si parla di velocità prossime a c ( velocità della luce).
L’altra intuizione geniale di Einstein fu il principio della conservazione della massa che lui scardinò completamente. Fino a quel momento si era pensato che la massa fosse invariabile e rimanesse sempre la stessa ma per lui non è così. La massa può variare perché la massa è energia e quindi varia al cedimento o all’ acquisizione di essa. Non gli era bastato dire al mondo che il tempo è relativo voleva andare oltre e riuscì a dimostrate che anche la massa è relativa e quindi può variare a velocità prossime a quelle della luce. Tutto questo è racchiuso nella famosissima formula , già scritta in precedenza, E= m c^2 da cui si evince facilmente che anche un corpo fermo in quanto possiede una determinata massa avrà un energia propria.
Si arriva così alla conclusione di queste nuove scoperte che cambiano, rivoluzionano un po’ tutto il pensiero del passato. Le intuizioni di qualche fisico e matematico che hanno portato alla completa rivoluzione di tutto ciò che noi pensavamo di sapere. Immaginare che il tempo che misuro io possa essere diverso da quello misurato da un altro è incredibile e sconvolgente eppure è tutto vero e tutto confermato e dimostrato.
BENVENUTI NELLA RELATIVITÀ!